La giustizia senza empatia è solo burocrazia, ma con la giusta comunicazione può diventare davvero umana!
- Avvocati Empatici
- 2 apr
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 10 apr
Quando la Giustizia Dimentica l'Empatia: Il Potere della Comunicazione nei Tribunali

Ed ecco il mio primo approfondimento per il blog “Avvocati Empatici”.
Questa non è la storia di una persona estranea, sconosciuta, ma si tratta proprio di qualcosa che è capitato a me in prima persona.
Eravamo a metà degli anni ’80 e di fronte a me era seduto un giudice che mi stava ascoltando come ultimo atto di un lungo e doloroso processo per il cambio di affidamento.
Ammetto tranquillamente che il tribunale non è mai stato un luogo a me familiare, tantomeno lo è oggi, dopo tanti anni.
Ero una minorenne (di poco più di tredici anni) che si ritrovava seduta davanti a un estraneo che per una buona mezz’ora mi ha posto delle domande in maniera del tutto neutra e senza mai guardarmi in faccia, con lo stesso sguardo basso per tutto il tempo, scrivendo in continuazione, tenendo sempre i suoi occhialini sul naso o sulla fronte.
Ripeto: mai uno sguardo, tantomeno un sorriso, neanche di circostanza.
All’epoca mi sono anche detta: “Per fortuna che hanno proibito ai miei genitori di essere presenti in tribunale per preservare la mia tranquillità!” dopo che, oltre a questo trattamento, avevo già sentito lo scambio di battute degli avvocati che rappresentavano i miei genitori, intenti a discutere “amabilmente” in corridoio su quanto io assomigliassi a mia madre o a mio padre. Follie!
Forse proprio questa mia esperienza vissuta mi ha dimostrato che tipo di impatto possa avere sugli altri, ancora di più su un minore, la totale mancanza di empatia.
Perché il punto non era solo il trauma di trovarmi in un’aula di tribunale a dover rispondere a domande che avrebbero avuto un peso importante sul mio futuro, ma il sentirsi completamente sola, invisibile, come se fossi solo un fascicolo da chiudere.
Il senso di abbandono in situazioni come questa è devastante.
Una persona che già si trova in una condizione di fragilità, che sia un minore o un adulto, ha bisogno di sentirsi accolta, ascoltata, riconosciuta.
Invece, un atteggiamento distaccato, formale, privo di ogni traccia di umanità, non fa altro che aumentare il disagio, generare ulteriori insicurezze e lasciare cicatrici emotive profonde, difficili da rimarginare.
Ed è qui che entrano in gioco l’intelligenza emotiva e la capacità di creare un rapport.
Il rapport è quella connessione che si instaura tra due persone quando c’è ascolto attivo, comprensione e sintonia emotiva. È il fondamento di una comunicazione efficace e di una relazione basata sulla fiducia. Non significa perdere la propria professionalità o il proprio ruolo, ma piuttosto essere consapevoli dell’impatto che il proprio atteggiamento può avere sull’altro.
Se quel giudice mi avesse guardato almeno una volta negli occhi, se avesse annuito per farmi sentire che mi stava ascoltando davvero, se avesse modulato la sua voce per trasmettere un minimo di accoglienza, quell’incontro non sarebbe stato meno serio, ma sicuramente meno traumatico.
Avrei potuto sentirmi meno sola, meno un numero di protocollo, più una persona.
E lo stesso vale per ogni avvocato, giudice o professionista che si trova a interagire con persone in situazioni di vulnerabilità.
L’empatia non è un lusso, è una necessità.
È ciò che fa la differenza tra una fredda applicazione delle leggi e una giustizia che, oltre a essere giusta, è anche umana.
La comunicazione è uno strumento essenziale per instaurare fiducia e sicurezza in chi si trova in una situazione delicata. Essa si articola in tre dimensioni fondamentali:
Comunicazione verbale: riguarda le parole che scegliamo di utilizzare. Un linguaggio chiaro, semplice e rispettoso può fare la differenza tra far sentire una persona accolta o ulteriormente smarrita. In un contesto giudiziario, un avvocato o un giudice che si esprime con un tono rassicurante e con termini accessibili permette al soggetto coinvolto di comprendere meglio la situazione e di sentirsi parte attiva del processo.
Comunicazione para verbale: include il tono di voce, la velocità con cui si parla e le pause utilizzate nel discorso. Un tono monotono e distaccato trasmette freddezza, mentre una voce modulata e attenta può far percepire maggiore interesse e vicinanza emotiva. Il silenzio, se usato correttamente, può essere uno strumento di empatia, concedendo all’interlocutore il tempo necessario per elaborare le emozioni e rispondere senza pressioni.
Comunicazione non verbale: comprende l'espressione facciale, il contatto visivo, la postura e i gesti. Uno sguardo attento e un’espressione accogliente possono comunicare molto più di mille parole. Un professionista che si chiude dietro un foglio, evita il contatto visivo o assume una postura rigida trasmette distanza e freddezza. Al contrario, un atteggiamento aperto e disponibile può infondere sicurezza e fiducia.
La combinazione armoniosa di questi tre livelli di comunicazione può cambiare radicalmente l'esperienza di una persona che si trova in un'aula di tribunale o in un incontro legale.
Tutto ciò vale a prescindere dalla professione: vale per ogni avvocato, giudice o professionista che si trova a interagire con persone in situazioni di vulnerabilità.
L’empatia e la capacità di connettersi con l’altro attraverso la comunicazione non solo migliorano l’interazione professionale, ma rendono il sistema giudiziario più umano e accessibile.
Molto è cambiato da allora, grazie anche all’introduzione di una preparazione mirata per i giudici con relativo accompagnamento di figure professionali specializzate, i minori certamente oggi sono più tutelati di quello che sia stato fatto allora.
L’impegno però deve essere sempre quello di migliorare ogni giorno.
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